Diritto e Lavoro

Sono stato licenziato via WhatsApp, ma è legale? Come contestare subito e difendersi

Il datore di lavoro può licenziarci con un messaggio via WhatsApp? Ecco come stanno e le cose e come tutelarsi.

WhatsApp, il sistema di messaggistica istantanea di Meta, ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare. Anche in campo lavorativo l’applicazione che permette di chattare in tempo reale (e non) con tutti è entrata prepotentemente. E non sempre con ricadute positive. La facilità e la rapidità d’uso di WhatsApp tornano comode per le aziende anche quando devono licenziare un dipendente.

Da alcuni anni alcune aziende hanno cominciato a utilizzare WhatsApp per comunicare con i propri dipendenti, anche per inviare loro comunicazioni di licenziamento. Ci si chiede dunque se questa procedura sia legittima, dato che la normativa italiana richiede la forma scritta perché il licenziamento si possa considerare valido. Lo prevede l’articolo 2 della legge 604/1966.

Il licenziamento va comunicato per iscritto. Al suo interno deve contenere la motivazione specifica che lo giustifica. Come si può vedere però la normativa risale a quasi sessant’anni fa quando non esisteva nulla di simile ai telefonini o alle odierne tecnologie di messaggistica. Rimane il quesito: il datore di lavoro può licenziarci con un WhatsApp? E come facciamo a difenderci?

È legale essere licenziati via WhatsApp?

La giurisprudenza italiana ha interpretato in senso estensivo la legge. i giudici della Corte di Cassazione hanno stabilito che basta una comunicazione chiara e diretta, anche inoltrata attraverso  strumenti digitali, a condizione che avvenga in forma scritta. Di conseguenza sì, anche un messaggio WhatsApp può essere considerato valido per il licenziamento a patto che contenga testualmente la volontà di licenziare da parte del datore di lavoro.

Sì, il licenziamento attraverso WhatsApp a certe condizioni è considerato valido – informativasindacale.it

Altro paio di maniche la prova della ricezione. Il licenziamento è un atto “ricettizio”. Questo significa che produce i suoi effetti soltanto nel momento in cui il lavoratore ne viene effettivamente a conoscenza. Non è dunque sufficiente il semplice invio del messaggio: il datore di lavoro è tenuto a dimostrare che il dipendente ha effettivamente ricevuto la comunicazione di licenziamento.

Le famose “spunte blu” non sono considerate una prova sufficiente. Al contrario, se il lavoratore risponde o impugna il licenziamento questa azione vale paradossalmente come una prova implicita di ricezione. Un altro problema può essere la mancanza di motivazione in molti messaggi di licenziamento via WhatsApp. Spesso sono troppo sintetici e i motivi del licenziamento non sono specificati.

Questa vaghezza può rendere inefficace il licenziamento o fornire un assist per una eventuale azione legale. Il lavoratore ha 60 giorni di tempo per impugnare il licenziamento con l’invio di una comunicazione formale tramite raccomandata o PEC. Successivamente avrà 180 giorni di tempo per avviare un’azione giudiziaria. Invece nel caso dei licenziamenti collettivi – che richiedono una complessa procedura di concertazione con sindacati e istituzioni – il licenziamento via WhatsApp non è ammesso. 

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Emiliano Fumaneri